Il coro liturgico

Il coro rappresenta il cuore dell’animazione musicale di una celebrazione. Fin dai primi secoli i padri della Chiesa hanno evidenziato la presenza e la funzione del coro nelle sacre celebrazioni, come strumento indispensabile per la preghiera cristiana.

….. In un coro composto di molti uomini, bambini, donne, vecchi e adolescenti,sotto la direzione di un solo maestro, ciascuno canta secondo la propria costituzione e capacità, l’uomo come uomo, il bambino come bambino, il vecchio come vecchio, l’adolescente come adolescente, tuttavia costituiscono insieme una sola armonia”. (sant’Atanasio vescovo).
E ancora  “Non vedi di quante e diverse voci è fatto un coro? 
Eppure da tutte emerge una unità. Ce ne sono di acute, di gravi, di medie; le voci dei singoli restano nell’ombra, è in evidenza l’insieme. Tale deve essere l’animo nostro: e vi siano pure molte conoscenze, molti insegnamenti; ma accordati ad un unico fine” (Seneca).
Qualcuno ha pensato e ha detto che con la Riforma Liturgica del Concilio Vaticano II i cori sono scomparsi dalle chiese. Invece, essi si vedono attribuire ora un compito di primaria importanza. Sono a servizio dell’assemblea, aiutano e sostengono il canto comune, contribuiscono a creare un’atmosfera di festa, custodiscono i tesori musicali del passato nel rispetto intelligente delle nuove realtà liturgiche.
Già nel 1966 il Concilium ad exsequendam Constitutionem de sacra liturgia affermava: “Se si vuole che l’assemblea liturgica sia veramente iniziata, guidata, educata nel canto, il coro è indispensabile”.
E i vescovi italiani nella Nota Pastorale “Il rinnovamento liturgico in Italia”, fanno un’affermazione profonda e bellissima: “Nell’esercizio del loro ministero essi sono segni della presenza del Signore in mezzo al suo popolo”.
Perciò quando tu canti, sei un segno, quando tu suoni, sei un segno, segno di Cristo. Che grande responsabilità ci viene data. 
Canti male, Cristo non si vede, suoni male, Cristo non è manifestato; se sei distratto e impreparato, se arrivi in ritardo alla Messa, se improvvisi, non comunichi Cristo.
Osservando lo sviluppo del canto corale, bisogna affermare che esso si è sviluppato grazie alla liturgia, ma anche a spese di essa. Intorno alle origini del canto liturgico dei primi secoli cristiani conosciamo poco, ma possiamo immaginare che a Gerusalemme venissero utilizzati i canti della sinagoga. Gesù e primi cristiani erano degli ebrei e vivevano quella tradizione.
Nel Medioevo, la fioritura dei monasteri, ha sviluppato un repertorio di origini e forme diverse, che va sotto il nome di canto gregoriano; tale corpus fu raccolto sotto Gregorio Magno (VI secolo). La riforma gregoriana aveva lo scopo di unificare popoli diversi nell’unico rito romano; tale intento fu realizzato due secoli dopo, da Carlo Magno (Impero Romano). I monasteri divennero così centri propulsori di tale repertorio, sempre più elitario. Il canto del popolo continuò attraverso inni popolari e i canti fissi di ogni domenica che poi si chiameranno ordinario della messa.
L’apparizione della polifonia, (secondo millennio) il suo sviluppo a più voci, rese necessaria la presenza di scholae preparate ad eseguire tale repertorio. Lo sviluppo di tale arte emarginò sempre più il canto dell’assemblea.
Il Concilio di Trento, cercò di arginare tale fenomeno negativo; fu grazie alla Missa Papae Marcelli di Palestrina, che si evitò una condanna totale della polifonia durante le celebrazioni.
I secoli XVII e XVIII favorirono ancora di più l’evoluzione di una musica di chiesa solenne e tecnicamente esigente. A poco a poco la liturgia divenne il luogo dove eseguire opere musicali belle e complesse (Haydn, Mozart), fino ad arrivare alle grandi messe-concerto del XIX secolo: Beethoven, Berlioz, Verdi.
San Pio X tentò un rinnovamento, auspicando un canto liturgico che rinunciasse allo stile teatrale in voga. Ma solo negli anni ’50, attraverso l’opera del movimento liturgico, si iniziò un cammino di vero rinnovamento che troverà la consacrazione definitiva nell’opera del Vaticano II e della riforma liturgica.
Il Vaticano II ha voluto riequilibrare tali valori: da una parte la ricerca di un repertorio dignitoso e musicalmente valido, rispettoso del rito; dall’altra parte la partecipazione di un’assemblea sempre più capace di cantare le lodi del Signore.

Ma quali sono i compiti di un coro liturgico? 

Essere a servizio del rito, cioè porre attenzione alle varie forme musicali, rendendole vere nella loro esecutività: l’acclamazione deve essere tale, una litania deve obbedire alla sua funzione interpetrativa, il Kyrie eleison non può essere un mottetto. Anche la durata di tali brani dovrà rispettare il rito nel suo svolgimento: un Gloria non potrà durare 10 minuti; un Alleluia dovrà accompagnare la processione dell’Evangelario.
Essere a servizio dell’assemblea,  la nota pastorale della Commissione Episcopale per la Liturgia su l’adeguamento delle chiese (1966) al n. 21 recita: “Il coro è parte integrante dell’assemblea e deve essere collocato nell’aula tra il presbiterio e l’assemblea; in ogni caso la posizione del coro deve essere tale da consentire ai suoi membri di partecipare alle azioni liturgiche e di guidare il canto dell’assemblea. E’ bene prevedere anche un luogo specifico per l’animatore dei canti dell’assemblea”.
L’assemblea va educata, preparata e seguita; ha i suoi tempi di cammino e di maturazione cristiana e musicale: bisogna tenerne debito conto e mettere in atto una sana pedagogia della gradualità. 
Qual è dunque il vero compito di un coro liturgico?

Introdurre, sostenere, alternare e animare il canto di tutta l’assemblea. 

E’ il primo compito fondamentale: il coro fornisce un aiuto a livello ritmico e melodico, offre sicurezza e precisione esecutiva.
Gli esempi sono numerosi riguardo a tale collaborazione. Penso subito alla grande acclamazione del Santo, che costituisce la conclusione del Prefazio; il sacerdote invita i fedeli “insieme”, “a una sola voce” e tutta l’assemblea acclama il Dio tre volte santo. Un unisono di coro e assemblea costituiscono la formula più adeguata e vera per realizzare tale acclamazione. Lo stesso avviene per il Padre nostro: non è pensabile che se ne appropri il coro, zittendo l’assemblea, con la motivazione di realizzare un pezzo polifonico d’autore.

Arricchire il canto dell’assemblea, intervenendo a più voci. 

E’ un modo per solennizzare alcune particolari celebrazioni – Natale, Pasqua, Pentecoste – ma nella giusta direzione e realizzando la vera solennità perché vi partecipa tutto il popolo, secondo le proprie capacità e competenze.
Eseguire musica polifonica, favorendo la partecipazione attraverso l’ascolto. 
Tale possibilità è offerta per esempio dalla processione dei doni o durante la processione della comunione; oppure come canto di ringraziamento o come canto finale. La corale può eseguire canti in italiano o in latino, polifonici o in gregoriano; l’assemblea può seguire i testi, o semplicemente ascoltare tali brani con raccoglimento.
Cantare nell’assemblea significa sentirsi membri a tutti gli effetti e non più solamente un elemento esteriore. I cantori devono avere la coscienza di essere essi stessi assemblea, parte dell’assemblea. Sarà allora logica conseguenza il cantare con l’assemblea.
Infine la corale canta da sola per l’assemblea un brano del suo repertorio; ma sempre nei momenti previsti dal rito. A riguardo è bene anche introdurre brani di autori contemporanei che, dopo un primo sbandamento, possono apportare una nuova dimensione alla liturgia, offrendo suoni, impasti sonori, forme nuove e originali.

Per concludere vorrei sottolineare che per fare un buon cammini, un coro liturgico deve:

Programmare e verificare il lavoro svolto. 

Una pianificazione annuale a grandi linee, seguita da una programmazione da premettere ai tempi forti dell’anno liturgico per una scelta di canti adatti ai vari tempi.

Un giusto equilibrio fra abitudine e novità. 

Un’assemblea normale può imparare al massimo 5 o 6 canti nuovi per tutto un anno. Tutti gli altri pezzi devono essere attinti dal repertorio conosciuto. Non si può cambiare ogni due mesi un Santo o l’Alleluia. Bisogna avere un repertorio da riprendere ad ogni cambio di festività.

Alternanza fra i gradi di festività. 

Sarebbe interessante un’alternanza fra i vari gradi di solennità con un repertorio che aiuti a scoprire tali diversità e tali ricchezze celebrative. Un solo esempio: il Salmo responsiriale può essere realizzata in tre modi differenti. 
Durante la settimana ci si potrebbe accontentare di leggerlo. Durante le domeniche ordinarie si potrebbe cantare solo il ritornello. Nei giorni di festa, per dare ancora più solennità, si potrebbe cantare tutto:  il versetto cantato dal solista e il ritornello cantato dall’assemblea guidata dalla corale.
Sento di poter affermare che la Riforma liturgica del Vaticano II non ha abolito i cori liturgici, ma li ha voluti presenti nel vivo della celebrazione, parte essenziale e insostituibile dell’assemblea celebrante. Occorre da parte del coro umiltà, disponibilità e servizio verso tutta l’assemblea; il coro potrà svolgere così una vera funzione educativa importante. Gradualità, pazienza, rispetto, sono le virtù da praticare. Infine una vita cristiana esemplare e coerente, poggiata su una vita sacramentale matura, preparata da una adeguata e continua catechesi.
Francesco Morgante

Fonte:  Antonio Parisi: canto e musica per celebrare

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